lunedì 31 marzo 2014

Pagina 129


Nel nostro tempo attuale la Maestra Geografia è la materia forse più bistrattata e sconosciuta. Io sono attaccatissimo al mio caro vecchio atlante. I miei me lo comprarono nel 1982, quando facevo la quinta elementare. Il maestro era un'entità di immenso potere, manesco e severissimo - si chiamava Arcuri ed era incline all'ira e alle sberle. Ci chiamò uno per uno per verificare che l'acquisto degli atlanti era stato fatto -  e ciascuno doveva avere il suo.
Quando venne il mio turno lui aprì il volume, sfogliò qualche pagina e me lo restituì dicendo che "quello della De Agostini è materiale ottimo", cosa che mi fece ritornare a posto rasserenato e anche un po' soddisfatto.

E' da poco più di un mese che apro l'atlante e indugio in maniera preoccupante sulla pagina 129.
In questa pagina si trova l'America del sud; Cile, Argentina, Perù ecc.
Ho constatato dai racconti di viaggiatori su internet che due delle strade più belle del mondo si trovano per l'appunto in Cile e Argentina: la Carrettera Austral e la leggendaria Ruta40.
Si tratta di racconti di viaggiatori ciclisti, e questo è ancora più preoccupante.

In genere quando uno si mette in testa grandi viaggi incontra sempre i seguenti problemi:
 - il tempo a disposizione: per me non è un problema
 - il come: con qualcosa inventata 197 anni fa che funziona a pedali
 - il quando: questo è il vero problema, ma ci sto lavorando

domenica 30 marzo 2014

Semplicemente Etna


Non sazio di Etna, parto in una giornata nuvolosa per un'escursione di due giorni sul versante nord del vulcano, puntando questa volta verso monte Santa Maria/rifugio Saletti. Ho dapprima attraversato i Nebrodi immersi nelle nubi, dove una breve deviazione mi regala questi due scatti affascinanti:
Nebrodi. Luci e ombre nei pressi di Portella Mitta, m.1241
Nebrodi, lo sconfinato pianoro delle case Batessa, m.1296
Giunto a Randazzo faccio una sosta per i rifornimenti e appena lasciata la città mi imbatto nel fronte lavico generato nell'eruzione del 1981, che sfiorò il bel paese medievale di circa un chilometro. Fotograficamente oggi ci sono le condizioni ideali, con nuvole sparse che oscurano il paesaggio a macchia di leopardo.

Randazzo. Fronte lavico del 1981
Mi faccio indicare la direzione per la contrada Pirao, dove abbandono l'auto e proseguo a piedi in un paesaggio che ancora ha i segni dell'uomo, ma che presto diventerà di assoluta natura.
Masseria abbandonata in pietra lavica. Contrada Pirao (Randazzo, CT)
Ginestre arboree
Alle 11 raggiungo un piccolo altopiano utilizzato dai pastori a circa 1300 metri di quota; qui sorge il vecchio edificio della Cisternazza, un grande serbatoio circolare destinato alla raccolta dell'acqua piovana; è una struttura unica sull'intero vulcano. 
Dato che inizia a piovere con insistenza, decido di proseguire verso ovest in direzione del rifugio forestale Saletti.
Etna nord. La Cisternazza

l'arrivo al rifugio Forestale Saletti
Dedico il pomeriggio piovoso a poltrire davanti al camino ascoltando musica; poi prima che si faccia sera mi reco sulle lave del 1981, distanti un paio di chilometri. Lo scenario è magnifico; nuvole spinte dai venti di tramontana che oscurano la catena dei Nebrodi, e macchie di luce in fondo, nella valle dell'Alcàntara.
Io qui, sul deserto lavico, in solitudine - fotografando in stato di estasi.


Quando la luce non è più sufficiente faccio infine ritorno verso il rifugio, riattivando le braci del camino, cenando e addormentandomi sulle note di un concerto al pianoforte di Schumann gentilmente trasmesso via etere.

Il giorno successivo decido di alzarmi alle 4,30 del mattino. Voglio fotografare il fiume di lava pietrificata con la luce giusta. E' una giornata splendida e fredda. Il cielo è completamente ripulito, non c'è traccia della perturbazione di ieri. Ripulisco il pavimento, riordino tutto e parto con il mio zaino pesante sulla pista ancora immersa nel buio. Prima un bosco di pino laricio, poi la lava. Inizia lo spettacolo dell'alba.
Alba sui campi di lava dell'81. Sullo sfondo il cratere spento di M.Spagnolo, m.1440


Spettacolari concrezioni di lave cordate. Banchi lavici del 1614-1624
Un tratto suggestivo del percorso nei pressi di monte S.Maria, m.1632

Durante la marcia di rientro dedico qualche minuto alla visita della grotta X.Schadlish, una grotta di scorrimento lavico che ha uno sviluppo di 112 metri. Dev'essere stata scoperta recentemente dato che non è segnata sulle carte.

Anche quest'escursione sta per finire; sono stati due giorni meravigliosi, tra i più belli che abbia vissuto sull'Etna. L'ultima foto che scatto, la seguente, forse riassume un po' l'anima di questo vulcano: lui dà - lui toglie. La vita che rinasce sulle pietre, gli alberi che colonizzano le lave, prima arbusti poi boschi. L'uomo che da secoli vive su questa montagna e a volte assiste alla disfatta.

Mentre riprendo con il teleobiettivo quella casa sommersa dalla lava mi accorgo che due cani mi stanno osservando. Li avevo già visti ieri. Sembrano Husky siberiani di pelo scuro - uno ha un brandello di collare, forse li hanno abbandonati. Mi è avanzato mezzo panino - è tutto quello che ho e glielo cedo.
Mentre mi allontano con la macchina vedo dallo specchietto retrovisore che lo stanno mangiando -

Ciao Etna.
Fotografie di proprietà dell'autore.
Qualsiasi uso diverso da quello strettamente personale non è consentito.

mercoledì 26 marzo 2014

Fotoritocco digitale

Non voglio dare lezioni a nessuno; di fotografi migliori di me, veri e propri maestri ce ne sono a migliaia.
Ma io vivo per fotografare; e raccontare con la fotografia ciò che faccio e che vedo di bello (e anche di brutto alle volte).
Vent'anni fa avevo una Canon analogica (a pellicola), con la quale scattavo in massima parte diapositive - Su ogni rullino gli scarti erano innumerevoli, e i rullini non li regalavano. Bastava un'inquadratura appena storta o una goccia di pioggia sull'obiettivo e ti saluto bella foto. Tempi preistorici.

Sento spessissimo discutere di materiale tecnico; la D800 è meglio della D700, il 50mm f1.8 è meglio del 35mm f2 ecc.
Credo che l'attrezzatura sia fondamentale, certo - ma vorrei sottolineare che in fotografia digitale è la postproduzione cioè il ritocco, che fa la vera differenza. Bisogna lavorarci, perderci tempo, fare esperienza e tanta.
A titolo di esempio riporto una fotografia scattata al ritorno dall'escursione ai megaliti dell'Argimusco in Sicilia. Per quasi tutto il tempo il cielo si era mantenuto nuvoloso e drammatico, ottima cosa questa per dare profondità e atmosfera alla scena. Sulla via del ritorno le nuvole hanno cominciato a scaricare una pioggerella fredda. Ho scattato una foto al volo di uno dei dolmen rocciosi, e...dov'è andata a finire quella goccia di pioggia sulla lente? esattamente sul dolmen!


Per eliminare la goccia ho utilizzato quello strumento favoloso che è il timbro Clona di Photoshop. Esso campiona aree circolari dell'immagine digitale e li stampa dove desideriamo. Usare il timbro è un'arte; io impiego sempre un pennello morbido per quest'operazione; in caso contrario si originano pasticci tali che è meglio buttare via la foto o lasciarla com'è.

La foto originale aveva comunque un aspetto monotonale che non mi piaceva; ho dato un tocco di sovraesposizione, circa +0,2. Poi ho aumentato il contrasto per dare corpo ai toni scuri. Se non si fa questo l'immagine risulta sempre "piatta".
Ho aumentato la nitidezza con lo strumento "chiarezza" del software Lightroom, particolarmente efficace. La chiarezza va aumentata in genere fino a +20, se si va oltre si formano artefatti attorno alle aree di confine scuro-chiaro.
Ho poi dato una vignettatura leggera di tono scuro per esaltare il centro della scena; Lightroom applica vignettature soffici ed eleganti, uso sempre questo software per vignettare.
Infine ho tagliato via un po' di cielo e di primissimo piano di troppo e aumentato la saturazione per rallegrare la foto.
Il risultato è questo:


Manipolazione/alterazione della realtà? Violenza alla verità del reale?
Cos'è il reale?
Lo alteriamo nel momento stesso in cui ci mettiamo sul naso occhiali da sole polarizzati, il reale.
E poi, se il risultato ci piace: ben venga - non abbiamo fatto del male a nessuno e ci siamo anche divertiti.
Il ritocco fotografico è un cimento meraviglioso; vale la pena perderci tempo, soprattutto se abbiamo speso fior di quattrini in un apparecchio fotografico e in un corredo di costose lenti.


martedì 25 marzo 2014

Nella Stonehenge siciliana


Da tempo volevo visitare la Stonehenge di Sicilia: l'altopiano dell'Argimusco disseminato di megaliti nel territorio di Montalbano Elicona, a quasi 1000 metri d'altezza tra Nebrodi e Peloritani.
Ha appena nevicato e il tempo è inclemente; la località è (come quasi sempre) mal segnalata; la strada è in cattive condizioni. Percorro a piedi un sentiero fangoso che mi porta in questo luogo surreale e sbalorditivo.

I megaliti si ergono solitari, sembrano osservarsi a vicenda. Il cielo nuvoloso e drammatico contribuisce all'atmosfera "mistica" del luogo. E in effetti molti hanno fantasticato su questi colossi di roccia: chi ha ipotizzato antichi rituali legati alla fertilità; chi vuole che siano stati modellati da antiche popolazioni di giganti biblici; chi considera questo posto un centro metafisico di contatto con il divino ecc.

Per me è un luogo di natura particolare e affascinante, tutto qui.
Mentre mi aggiro tra i dolmen ho però la strana sensazione che siano loro a osservarmi.
Poi inizia a piovere, indosso l'impermeabile e con calma vado via lasciando che le rocce rimangano a discutere tra loro nel silenzio dell'altopiano, come fanno da millenni.

Per questo lavoro fotografico ho utilizzato esclusivamente il supergrandangolo da 8mm; quasi sempre ho scattato due esposizioni, 0 e -0,7 a diaframma 11, iso100 e treppiede, unendo poi le parti correttamente esposte con lo strumento layer mask di Photoshop. Per fotografare i megaliti secondo me è consigliabile muoversi in una giornata come questa, scura e piovosa. Cieli tersi e privi di nuvole sarebbero troppo banali ma è una mia opinione. Vorrei comunque ritornare qui all'alba o al tramonto, in una giornata con nuvole sparse - mai pensare di aver fatto del proprio meglio!




domenica 23 marzo 2014

Una giornata da turista


Randazzo si trova sul versante nord dell'Etna, a 765 m. d'altezza, affacciata sulla valle dell'Alcàntara.
Sorge su un'altura di epoca preistorica che nel corso dei secoli l'ha risparmiata dalle colate laviche, ultima quella del 1981. Per questa ragione la città è stracolma di emergenze architettoniche medievali; le sue chiese costruite in pietra lavica sono di una bellezza unica.

Sono legato a Randazzo da vecchi ricordi: la raggiunsi in bicicletta partendo da San Giovanni la Punta (CT) quando avevo 16 anni. Fu il mio primo viaggio in bici, fatto con un amico di allora. Passammo la notte al modesto motel Agip, che adesso è stato trasformato in hotel di lusso, e il giorno successivo completammo il nostro giro attorno al vulcano, per un totale di 120 chilometri che a quell'epoca ci sembrarono un'avventura memorabile.

Ieri ho passato l'intera giornata a girovagare per il centro medievale; ho giocato a fare il turista con zaino, macchina fotografica e guida rossa del Touring in mano; ho mangiato due panini seduto su una panchina, ho scherzato con la gente, mi sono fatto inseguire dai cani del paese, per farla breve mi sono divertito fino a che esausto ho montato il cavalletto per le ultime riprese al tramonto per poi fare ritorno e cenare presso una trattoria d'alta quota persa nel buio dei Nebrodi. Una giornata che non dimenticherò in uno dei paesi più belli dell'intera Sicilia.
Ho selezionato a fatica una ventina di scatti. Eccoli.

portoni in pietra lavica
balcone e altarino
chiesa di Santa Maria, 1217-1239. Portale gotico sul fianco sinistro
chiesa di Santa Maria
Santa Maria, bifore medievali sul lato destro
Santa Maria, portale di stile gotico-catalano sec.XV
palazzo Clarentano, anno 1509
cane normanno-svevo a riposo, via degli Orti
massicci portoni in materiale lavico, retro palazzo Clarentano
serie di bifore e fascione marcapiano bicromato, palazzo Scala, sec. XV
chiesa di San Nicolò, trecentesca, rimaneggiata nel 1583; campanile a torrione del 1789
resti di abitazioni distrutte dai bombardamenti della sec. guerra mondiale
tombino di epoca in cui i lavori li facevano senza discutere
gatto che mi osserva mentre fotografo
finestre di gente defunta chissà quando
campanile trecentesco di San Martino, eccezionali monofore accoppiate con bande di calcare e lava
Randazzo ripresa dalla salita dei Cappuccini
luce dorata sulla campanile di S.Maria. via dei Caggeci
vecchi palazzi in rovina a ovest della città. Etna sullo sfondo