lunedì 12 dicembre 2016

Dicembre andiamo è tempo di migrare. Arrivederci Sicilia.


Parco dei Nebrodi, lago Trearie. 24 novembre 2016



Ed eccola, la citazione di chiusura. Parole del grande, grandissimo, John Muir.

A breve migrerò al nord Italia per "svernare". Probabilmente in futuro capiterà che vorrò trascorrere in Sicilia l'intero inverno o gran parte di esso, ma non quest'anno. Il bilancio di questa stagione siciliana 2016 è più che positivo; ho accudito la mia terra, mangiato frutta fresca, raccolto nocciole, restaurato un piccolo muro a secco, potato alberi, fatto potare ulivi, tagliato legna, sostituito l'inverter dei pannelli fotovoltaici, piantato patate e riverniciato il cancello, più numerose altre cose che non ricordo -

L'acqua potabile almeno per quest'anno non ha mai dato problemi - cosa strana per un posto in cui gli acquedotti, se tali si possono chiamare tubi di zinco interrati a dieci centimetri di profondità, risalgono ancora agli anni Cinquanta. Dico questo perchè quando l'acqua non manca e lo scalda-acqua a gas si accende con il suo rumore cupo e arriva acqua calda nelle doccia di questa casa di pietra - e io mi lavo dopo che sono tornato dall'ennesima escursione fotografica, ebbene in quel momento io sono FELICE.


Quindi, a proposito, ecco un elenco di trenta cose che mi fanno felice:

- avere tempo a disposizione illimitato e non considerarlo "ormai" un lusso scontato
- non essere superman ma tutto sommato possedere una salute gagliarda ed esserne consapevole
- fare una doccia calda dopo un'escursione
- accendere la stufa a legna e alimentarla con la legna che ho tagliato io, beandomi dell'odore e del caldo
- bere una tazza di Nescafè dopo pranzo mentre alla radio trasmettono musica classica di buon gusto
- bere un bicchiere di Vecchio Amaro del Capo ( l'unico che non mi stufa mai ) dopo cena
- accendere una candela e godermi la sera un film al computer, in lingua inglese possibilmente
- rileggere per la trecentesima volta l'incipit di Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini
- passeggiare nella mia proprietà con la gatta Giovanna che mi viene dappresso come un cane
- preparare nelle cassette, ben ordinata, la legna da ardere per il giorno che viene
- rimanere a letto qualche minuto in più pensando che lo posso fare e non devo timbrare cartellini
- accendere la radio alle tre di notte e ascoltare musica classica per una ventina di minuti
- ritoccare fotografie digitali particolarmente riuscite e ottenute con fatica
- consultare per la cinquecentesima volta le carte topografiche dell'Etna e dei Nebrodi
- leggere per la milionesima volta il libro 'Conoscere l'Etna', da me acquistato nel lontano 1987
- aprire vecchie riviste d'epoca degli anni Trenta e sognare di aver vissuto, da benestante, quell'epoca
- ascoltare Do What You Like dei Blind Faith, il mio mantra assoluto della durata di 15 minuti
- ascoltare Can't Find My Way Home dei Blind Faith e pensare al prossimo viaggio in bici
- mangiare fichi d'india freschi di frigorifero e già sbucciati dopo un pranzo estivo in una giornata afosa
- bere una lattina fredda di Chinotto Sanpellegrino alle 10 del mattino, sudato, durante un'escursione sui Nebrodi
- accendere e governare un fuoco nel camino di un rifugio a quasi 2000 metri sulla mia adorata Etna
- partecipare alla leggendaria Ottobrata di Floresta e stordirmi con birra di produzione artigianale
- constatare che in casa non ci sono problemi con l'acqua o di sorta e che il fotovoltaico funziona al 100%
- stendere e far asciugare vestiti all'aperto, in campagna
- comprare pane caldo casareccio particolarmente riuscito nella cottura ( mi piace poco cotto )
- condire il  pane caldo di cui al punto precedente con l'olio fatto con i miei ulivi e l'origano selvatico di Sicilia
- avere il meno possibile a che fare con ignoranti e persone sgradevoli; non dover "subire" il prossimo
- stare in compagnia di cari amici, vecchi o nuovi, con i quali scambiare energia
- assistere alla morìa generale di insetti volanti, mosche e zanzare, con l'arrivo dell'Autunno
- entrare, uscire, godere di questa casa di pietra e pensare che i lavori di ripristino, lunghi e sudati, costosi e faticosi, hanno visto anche la mia mano

E a questo punto, diavolo, ci pensavo da tempo - eccone l'occasione: metto il link al webjournal di una coppia di persone che dopo aver viaggiato in bici a piedi e in auto per anni e dappertutto, si sono ritirati a vivere in una casa in un bosco del Vermont da loro costruita nel corso di un'odissea di lavori durata anni.
Grandiose foto ed esperienze.
Io li adoro. Si trovano in questa pagina.


Da maggio a oggi ho passato bei momenti con gli amici, esplorato l'Etna in angoli nascosti, camminato sui Nebrodi per ore nel silenzio assoluto, fotografato la costa tirrenica durante le mareggiate, visitato siti archeologici e opere d'arte contemporanea, mangiato in trattorie di montagna e consumato un paio di costose scarpe Lowa per il trekking.

Ho dormito in un bivacco freddo e umido sui Nebrodi, circondato da un bosco di faggi dai colori incredibili; ero comunque al caldo dentro il mio saccoletto, però - indimenticabile notte! E mi sono accampato in tenda su un altopiano roccioso dell'era mesozoica, svegliato alle 5 del mattino successivo dal raglio degli asini.

Ho aperto l'atlante DeAgostini più spesso, ultimamente, e un'idea di viaggio in bici per il 2017 forse già ce l'ho. Quale ? Vedremo.

Per adesso:

arrivederci Sicilia -



parco dei Nebrodi, Rocche del Crasto. 2 agosto 2016

venerdì 9 dicembre 2016

Sicilia antica. Le rovine del castello di Torremuzza.





Ieri insieme al caro amico Luigi ho voluto fare una capatina nella Sicilia dei castelli. Torremuzza ( = la torre mozzata ) è il nome di questa postazione militare arroccata a guardia di un'ansa del fiume Troina, a breve distanza dall'alto corso del Simeto. Zona di confine questa, dove le lave dell'Etna lasciano il passo ad altra geologia e dove quel mare sconfinato di colline e montagne a seminativo e pascolo che caratterizza l'interno "vero" dell'isola sembra avere finalmente inizio.

Per giungere all'edificio occorre passare dall'altra parte di un fiume; se il guado non è possibile a causa dell'altezza dell'acqua, si transita su un ponte tibetano alquanto traballante, ed è quello che abbiamo fatto noi. 





in alto e in basso: io e Luigi alle prese, di buon mattino, con 
l'attraversamento del fiume Troina sul ponte tibetano...
che proprio fermo non sta !


Ecco cosa ci voleva per darmi la sveglia: ...altro che caffè !


Risalito il versante opposto della collina abbiamo raggiunto l'antica postazione, illuminata dal sole di questa bellissima mattina di dicembre e inserita in un paesaggio che più 'siciliano' di così non si potrebbe:




sopra: il castello di Torremuzza come doveva
grossomodo apparire ai viandanti che lo raggiungevano
sette-otto secoli fa.



Non ci sono date esatte sulla posa della prima pietra. Pare che l'edificio esistesse già nel XIII° secolo come ampliamento della già preesistente torre, che sarebbe di origine bizantina. Fu coinvolto nella guerra del Vespro, passò nelle mani di diverse Signorìe che si avvicendarono nel corso dei secoli e fu anche utilizzato come luogo di detenzione.
La torre risulta mozzata a seguito di un fulmine, dicono; ma si potrebbe pensare anche per semplice crollo dovuto ad intemperie / terremoti ecc.

Comunque sia, la struttura è affascinante e tutto sommato ancora in "buono" stato. Il livello superiore è costituito da un cortile circondato da mura dotate di feritoie che permettevano di controllare a vista tutta la vallata sottostante, dove anticamente passava una 'regia trazzèra' ( = strada ) che univa Giardini Naxos a Termini Imerese, in provincia di Palermo.




sopra: Castello di Torremuzza, i resti della torre, di 
probabile origine bizantina

sotto: il cortile fortificato del livello superiore;
si notano i numerosi fori per l'osservazione




la vista sul versante nord della valle del fiume Troina


Castello di Torremuzza, l'ingresso sottostante, e principale,
al complesso fortificato


Inevitabilmente, quando si visitano posti come questo, ci si chiede "come doveva essere la vita qui" ecc.
Ed è quello che mi chiedo anch'io, mentre con il mio amico mi allontano dal vecchio castello lungo quella che in passato era sicuramente l'unica strada d'accesso. Cavalli e soldati, vettovaglie portate con fatica e mille temporali si saranno abbattuti sull'edificio nel corso di tanti secoli. Le presenze davvero "immutate" sono ancora oggi, la valle in cui scorre il fiume e la mole dell'Etna che incombe a levante.

Dobbiamo riattraversare quell'inquietante ponte tibetano ancora una volta, e una volta dall'altra parte saremo ritornati nel nostro tempo, centinaia e centinaia di anni dopo.

Un'altra giornata è sorta sull'antico castello, che infine scompare alla nostra vista.




IL CASTELLO DI TORREMUZZA, ACCESSO.
Spesso e volentieri descrivo come arrivare in certi posti. Ma non è questo il caso del castello di Torremuzza.
Perchè ? Perchè malgrado la struttura sia in abbandono, tutto sommato è rimasta nascosta e ignorata dal turismo di massa. Sarà per l'attraversamento del fiume, sarà perchè si trova in una zona brulla e decentrata, il castello sembra "godersi" il suo lento declino con serenità e pazienza, lontano da comitive di turisti mordi e fuggi.

A parte qualche rara cartuccia di cacciatori il luogo è pulito e incontaminato. Niente sacchi di immondizia nè carte di Kinder Cereali lasciate per terra. Solo poche scritte incise nell'intonaco che risalgono addirittura agli anni Sessanta. 

Un posto che vuole essere lasciato in pace. E io rispetto la sua volontà.



mercoledì 30 novembre 2016

Il trekking dei crateri spenti dell'Etna, versante Ovest.









“Aspettate che il sole si abbassi sull’orizzonte: poco prima del tramonto il fianco ovest dell’Etna si colora di tinte incantevoli. Osservate le distese laviche mentre assumono toni cromatici che spaziano dall’arancio al rosa, i canaloni che percorrono i fianchi del vulcano scavati dagli ultimi raggi del sole, che mettono in risalto ogni asperità, ogni piega del terreno”.

G.Riggio, G.Vitali – Conoscere l’Etna, Sellerio Ed. 1987








Basterebbero già le parole di questi due autori per descrivere appieno le due giornate che ho vissuto sui sentieri di quello che ho chiamato ‘Il cammino dei vecchi crateri’, un percorso che si snoda su piste forestali affiancate da pini, pioppi e betulle, poi da querce e lecci, sino agli ultimi alberi che si incontrano alle quote più alte, nei pressi del rifugio della Galvarina. Diario di un trekking affascinante e indimenticabile, tra i più belli che si possano vivere sul vulcano.



28 novembre 2016
     Nubi sparse e cielo sereno, aria fresca, silenzio. Ho lasciato l’auto a quota 1550 e in breve mi trovo immerso in un fittissimo bosco di pini larici in cui i raggi del sole faticano a filtrare. Passo vicino Monte Albano, uno degli innumerevoli crateri spenti disseminati sui fianchi dell’Etna. Due ore di strada e 300 metri di dislivello mi separano dal rifugio della Galvarina, dove mi fermerò questa notte. Il bosco sembra non finire mai, poi improvvisamente la pista sbuca su un’immensa distesa lavica risalente al 1610. I pini si fanno più bassi e radi: ho quasi raggiunto la pista forestale altomontana.








    Conosco il rifugio della Galvarina sin da quando avevo sedici anni. Ci andai insieme a un conoscente quando ancora era un edificio spettrale e malandato. Il parco dell’Etna all’epoca non era ancora nato. Ricordo che era in corso un’autentica tormenta di neve - era aprile e il nostro equipaggiamento lasciava molto a desiderare. Rammento la neve scagliàtaci in faccia da un vento micidiale, e le scarpe bagnate. Oggi, 28 anni dopo, la Galvarina è un accogliente punto d’appoggio, completamente ristrutturato e funzionale.




Incontro tre operai forestali che stanno scaricando legna per il camino. Scambiamo due parole e mangiamo qualcosa, poi vanno via e resto da solo. Sul retro incombe la mole dell’Etna – il suo versante occidentale deserto e solcato da canaloni lavici. Le nuvole sfiorano i deserti vulcanici e si allontanano. Rientro nel rifugio e preparo un caffè solubile, da bere accanto al calore del fuoco.









Nel pomeriggio lascio al rifugio tutto ciò che non mi serve e mi reco su un altopiano nelle vicinanze per aspettare il tramonto. Abbandonata la pista, salgo a piedi tra ginestre e cespugli di asfodelo sino alla base di Monte Pecoraro, m. 2263, un grande cratere rosso dall’aspetto appiattito. 







     Quello che colpisce è il silenzio. Niente aerei, niente persone, niente uccelli. Una solitudine assoluta, una comunione totale con la natura. Il paesaggio è essenziale, elementare. Rocce laviche, alberi solitari, bassi cespugli che crescono rasoterra - altri crateri spenti, neri e colossali. Il tempo passa veloce come queste nuvole, che spengono e accendono luci calde e fredde di minuto in minuto. Si passa rapidamente dal sole alla nebbia più fitta sino a quando il breve giorno di novembre muore su montagne lontane, al di là dell’Etna, lasciando l’aria fredda e umida, odorosa di zolfo e paglia.

















sopra e sotto: ultime luci del giorno sull'altopiano
della Galvarina, a circa 1900 metri di quota.






     E’ buio e ho finito di scattare le mie foto. Indugio nel mezzo di questo deserto e quindi faccio ritorno al caldo del rifugio. Una cena frugale, un po’ di vino ma senza esagerare; guardo le fiamme del camino per un tempo che sembra indefinibile, poi esco nel gelo della notte inondata di stelle. Le luci dei paesi lontani sono scomparse sotto coltri di nubi illuminate ogni tanto da fulmini. Nel caldo del saccoletto invernale ascolto brani di musica al pianoforte e un episodio tratto da ‘I racconti di Kolyma’, ambientati nei campi minerari siberiani. 'Lida' è il titolo di quello in questione. L’avrò ascoltato almeno venti volte e mi piace sempre, smuove corde profonde del mio animo.





 Almeno per questa volta non dormo per terra !




29 novembre 2016
     Sveglia alle 5 e trenta. Il grande ciocco di legna di pino arde debolmente nel caminetto e lo ravvivo. Faccio colazione a lume di candela. Fuori la luce e bluastra e il terreno coperto di brina ghiacciata. La sommità dell’Etna è nascosta dalle nuvole, oltre 1400 metri più in alto. La camminata di oggi è di circa quattro ore e prevede di passare da tutta la serie di crateri spenti di questo versante, perdendo quota progressivamente sino al punto di partenza. Lascio quindi il rifugio e mi dirigo verso Monte Rosso e Monte Mezza Luna, m.1769.











in alto e seguenti: immagini incantevoli dell'alba
nei pressi del cratere spento di Monte Mezza Luna (m.1769 - eruz.1763)













Scendo di quota e mi dirigo verso altri grandi crateri, Monte Lepre, Monte Arso e Monte Ruvolo. In mezzo giace l’immane deserto lavicodel 1763. Il cielo si copre sempre di più mentre cammino, piegando a sud e poi a est. In prossimità di Monte tre Frati faccio sosta presso una capanna di forma conica che mi ricorda il viaggio in Lapponia.











     Infine piove. Prima pioggia, poi pioggia mista a neve. Manca un’ora di cammino in salita per Monte Gallo e il punto di partenza. Mi fermo a mangiare qualcosa presso Case Zampini, una caserma della Forestale chiusa e circondata da alti pini, poi riprendo la marcia. Mi imbatto in una scolaresca che va in direzione opposta alla mia. Hanno scelto proprio il giorno sbagliato per la gita: umido, piovoso e adesso anche freddo. C’è chi mi saluta, chi sorride, chi guarda con orrore al mio zaino enorme. Poi spariscono inghiottiti dalla nebbia e dal bosco. 











     Eccola, la mia auto. Con i vetri semi coperti di neve. Da una parte sono contento di far ritorno a casa, dove accenderò la mia stufa e farò una bella doccia calda seguita da una cena come si deve. Per certi versi mi dispiace anche un po’ che questa lunga escursione sia finita. I colori dell’autunno, il paesaggio vulcanico, la libertà - meravigliosa. Tutte cose che esercitano un fascino magnetico, almeno su di me -

Metto in moto l'auto e inizio il lungo ritorno verso la mia casa di pietra in Sicilia, da qualche parte al di là delle montagne. Arrivederci Etna.








NOTE PER L'ESCURSIONISTA





Il trekking dei vulcani spenti si svolge sul versante occidentale dell'Etna, che ne è particolarmente ricco. Il percorso inizia dal parcheggio di Monte Gallo/Piano Fiera a quota 1550, sfiora Monte Albano completamente boscato e giunge al rifugio forestale della Galvarina, a m. 1879, dove se si vuole si può pernottare.

Etna Ovest, rifugio della Galvarina.


La Galvarina offre una stanza ampia e accogliente, ma quello che davvero funziona bene è il camino. La canna fumaria ha un tiraggio eccezionale in grado di aspirare ogni singola molecola di fumo: complimenti a chi lo ha costruito !   Tutt'altra cosa rispetto al camino del vicino rifugio di Monte Palestra/Poggio La Caccia, che sembra fatto apposta per rimandare continuamente il fumo nella stanza.

Per contro, il grande stanzone della Galvarina attira comitive numerose prime fra tutti quelle degli Scout. Per minimizzare la probabilità di soggiornare in allegra compagnia io evito SEMPRE di recarmi in montagna nei giorni festivi, qui come altrove. Anzi direi che uno dei capisaldi fondamentali del mio cambio di vita è stato proprio questo: andare in giro nei giorni infrasettimanali.



La segnaletica.



Finalmente ! Meglio tardi che mai ! Dopo decenni di attesa anche sull'Etna sono apparsi i segni internazionali bianco/rossi per l'escursionismo. Ma soprattutto i cartelli. Che sono più che mai importanti in un percorso come questo, pieno di bivii e piste che si incrociano in tutte le direzioni.

Poche cose sono frustranti per l'escursionista quanto procedere faticosamente nell'angoscia di non essere sulla strada giusta. I cartelli segnaletici che sono stati collocati di recente sono UNA BENEDIZIONE. Alle volte i tempi indicati sono imprecisi, altre volte esatti al minuto. Ma quello che conta è la direzione di marcia.
Poichè questo ben di dio verrà probabilmente danneggiato dai soliti deficienti la cui madre è sempre incinta, mi auguro che in futuro vengano sostituiti e venga fatta manutenzione. Dico questo perchè troppo spesso ho constatato che in Sicilia le cose buone ci sono; il problema è farle durare.


Quanto adoro i cartelli ufficiali !


La presenza dei segnali NON DOVREBBE comunque esimere dall'avere con sè una buona, vecchia e sana cartina. Ottimo il foglio 1:50mila edito dalla Litografia Artistica Cartografica.

La seconda parte del trekking richiede circa 4 ore di marcia e va dal rif.Galvarina ai crateri di Monte Rosso, Monte Mezza Luna, Monte Lepre, Monte Arso, Monte Ruvolo e Monte Tre Frati. Dalla Casa Forestale Zampini si ritorna infine in 50 minuti al parcheggio di Piano Fiera.


I vecchi crateri e la loro storia.
Dato che il giro è incentrato sui numerosi vulcani spenti e il paesaggio che li circonda, non posso non citare la pubblicazione interessantissima di G.Tringali. Essa è reperibile sul web in questa pagina.
I miei complimenti a quest'autore non saranno mai abbastanza.




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